Rivoluzione per gli ospedali, chiudono Piove di Sacco e Dolo Sanità in Veneto, verso il taglio di 7 strutture: Dolo, Piove di Sacco, Adria o Porto Viro, Noventa Vicentina, Valdagno, Bussolengo, Verona
VENEZIA. Nel prossimo biennio la sanità veneta cambierà fisionomia: sette ospedali saranno chiusi e le risorse liberate finanzieranno una nuova rete di pronto intervento, assistenza e cura sul territorio. La lista delle dismissioni comprende i presìdi ospedalieri di Dolo, Piove di Sacco, Adria o Porto Viro, Noventa Vicentina, Valdagno, Bussolengo e «Borgo Roma» a Verona. E' una riforma radicale quella delineata nelle “schede tecniche” abbinate al Piano socio-sanitario già all'esame della Prima commissione regionale: all'approvazione definitiva del documento di programmazione, prevista entro l'estate, seguiranno i provvedimenti operativi correlati.
La cessazione di attività di un ospedale, a prescindere dalla sua effettiva funzionalità, è un atto altamente impopolare, avvertito come una lesione dei livelli del welfare dall'opinione pubblica; perché, allora, gli artefici della politica sanitaria – il governatore Luca Zaia, l'assessore Luca Coletto, il segretario Domenico Mantoan – hanno deciso di percorrere questa strada? Le ragioni sono molteplici ma il punto di partenza è rappresentato dall'introduzione dei costi standard che, a partire dal 2013, comporteranno un taglio dell'8% (5-600 milioni l'anno per le casse venete) negli stanziamenti ministeriali. Una cura dimagrante che impone scelte selettive, a cominciare dalla rinuncia al costoso mantenimento di strutture giudicate «inessenziali».
Ma quali criteri hanno ispirato l'individuazione dei punti destinati a chiudere? Anzitutto, la prossimità ad altri ospedali adeguatamente attrezzati: Mirano e Mestre nel caso di Dolo, il «Sant'Antonio» di Padova e Chioggia per Piove di Sacco, Rovigo come alternativa ad Adria-Porto Viro (sono ancora in ballottaggio, ne sopravviverà soltanto uno). In altre situazioni – leggi Noventa Vicentina - la ratio è quella di sfoltire un circuito fortemente ospedalizzato e dotato di rapide arterie di collegamento. Oppure, più semplicemente, di coniugare la chiusura del vecchio – Bussolengo e Valdagno - all'avvio del nuovo (Villafranca ampliato e ammodernato, Santorso appena inaugurato). Infine, nel caso veronese, la presenza nel capoluogo di un centro d'eccellenza quale il policlinico «Borgo Trento» induce a ritenere superflua la permanenza di Borgo Roma.
Ma quali garanzie verranno fornite ai pazienti sul piano della continuità delle prestazioni? E come sarà riallocato il personale in esubero? La risposta al primo quesito è contenuta in larga parte nello stesso Piano socio-sanitario, laddove si traccia la mappa della sanità «orizzontale» assunta a nuovo modello: piccoli e attrezzati presìdi territoriali dotati di personale specialistico; punti infermieristici in grado di svolgere funzioni di assistenza e di filtro pre-ospedaliero; hospice attrezzati per visite, esami e brevi ricoveri; unità del 118 (ambulanza e cure primarie) attive h 24 e dislocate nelle zone coinvolte dalle chiusure di ospedali; pool di medici di base capaci di garantire reperibilità e visite a domicilio sette giorni alla settimana. Ai chirurghi, poi, sarà chiesto di affiancare i colleghi attivi altrove, così da estendere all’intera giornata i turni in sala operatoria.
La svolta che si profila, insomma, non è di poco conto. Ed è facile prevedere il corollario di discussioni, proteste e scontri di potere che ne accompagnerà il processo di attuazione. Influenzandolo, probabilmente, anche se la volontà del governatore Zaia - ribadita nei colloqui con i manager del settore - è quella di garantire la tenuta del sistema, cioè la continuità del welfare,attraverso un rigoroso contenimento dei costi che aggredisca i centri di spesa burocratica e concentri il più possibile le risorse sul versante delle prestazioni.
Sarà un percorso in salita, certo, ma la sanità del Veneto non è all’anno zero. Pur scontando l’eredità di un debito consolidato vicino al miliardo, l’opera di risanamento intrapresa ha già prodotto risultati tangibili, a cominciare dall’attivo di bilancio corrente messo a segno nel 2010 e ribadito nel 2011. È all’orizzonte anche una riforma delle unità sanitarie locali, che ne prevede una drastica riduzione: l’obiettivo ottimale sarebbe di accorparle e farle coincidere con i sette capoluoghi ma, dinanzi all’inevitabile levata di scudi dei distretti coinvolti, è probabile si persegua un traguardo intermedio. Nel frattempo la giunta di Palazzo Balbi ha congelato fino al 31 dicembre prossimo le nomine e i movimenti dei primari: una spia eloquente dell’imminenza avvio del processo di riorganizzazione.
Le incognite, però, non si limiteranno al “fuoco amico” delle forze politiche di maggioranza sensibili al favore dell’elettorato - Lega e Pdl con le loro roccaforti di consensi - all’opposizione annunciata del centrosinistra. Né alle reazioni indispettite degli interessi lesi dalla sforbiciata a poltrone e rivoli finanziari.
L’artefice “tecnico” della riforma, il segretario Mantoan, è cosciente che le chance di successo sono proporzionali al tasso di adesione da parte del personale medico, infermieristico, tecnico, amministrativo. Ed è in questa direzione che lavorerà nei prossimi mesi, augurandosi che dal Governo non giungano brutte sorprese in forma di contrazioni dei budget o di aggravi dei costi (un esempio per tutti: il prossimo aumento di due punti dell’Iva comporterà rincari nel pagamento dei servizi pari a una sessantina di milioni) che pregiudicherebbero il fragile equilibrio ritrovato.
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